In grammatica latina, il supino è un nome verbale appartenente alla quarta declinazione, di cui sono rimasti in vigore solamente due casi: l'accusativo (auditum) in -um e l'ablativo in -ū (auditu); le forme hanno un uso piuttosto raro e limitato e possono essere sostituite da altre costruzioni. In italiano, il supino non è presente.
Il supino in -um
Il supino in -um, tradizionalmente detto supino attivo, è un antico accusativo indicante un complemento di moto a luogo o direzione verso un luogo; viene utilizzato perlopiù in presenza da verbi di movimento (come abire, ire, mittere, venire) per indicare il termine o la fine di un movimento. Generalmente esprime una proposizione finale, ha quindi un valore di fine (o di scopo).
Limitazioni
Il supino in -um è di uso piuttosto raro e limitato ad un uso di frasi "già fatte" (si notino gli esempi) come dormitum o cubitum ire, «andare a letto (dormire)»; mittere consultum, «mandare a consultare»; habitatum ire, «andare ad abitare»; filiam alicui nuptum dare (locare), «dare la figlia in matrimonio ad uno»; sessum ire, «andare a sedersi»; sessum recipere, «far sedere uno»; frumentatum o pabulatum ire, «andare a far foraggio (frumento)».
Il supino in -um unito a iri (infinito passivo di eo) forma una perifrasi utilizzata principalmente in una proposizione infinitiva, con l'idea di infinito futuro passivo.
Il supino in -Å«
Il supino in -ū, detto più comunemente supino passivo, viene usato per esprimere un ablativo di limitazione (in italiano, un complemento di limitazione), preceduto da aggettivi indicanti qualità , come acerbus, arduus, asper, dulcis, facilis, difficilis, gravis, horribilis, iucundus, mirabilis, optimus, e in presenza di locuzioni come nefas est, opus est o fas est. Soltanto pochi verbi transitivi hanno il supino in -ū, le forme maggiormente usate sono dictu, per maggiori informazioni consulta la pagina del comune qui |